Il mondo dell’infanzia è una scoperta ottocentesca, sia dal punto di vista psicologico-antropologico-sociale sia per quanto riguarda la sua tematizzazione letteraria.
Il volume di Bani e Gouchan intende ripercorrere brevemente le vicende di queste fortuna, dalla classicità al secolo XIX, per poi addentrarsi nelle particolari articolazioni che della figura del fanciullo vengono date da d’Annunzio, da Pascoli e dai poeti crepuscolari, con l’intenzione di studiare l’evocazione, la costruzione e il significato di questo piccolo “altro da sé” in un periodo importante della storia della letteratura italiana perché fondativo, per analogia o contrapposizione, delle strutture, dei temi e delle modalità che la caratterizzeranno nel Novecento.
Una ricerca sulla lirica del tardo Ottocento e del primo Novecento, dunque, ma non solo. Imprescindibili saranno anche i riferimenti al Fanciullino o ad altri testi pascoliani destinati alle scuole e non rare saranno le riflessioni stimolate, ad esempio, dalle prose di Gozzano; mentre per d’Annunzio, ampio spazio verrà dato alla sua produzione narrativa, novellistica o romanzesca, anch’essa densa di presenze infantili e strutturalmente legata all’esperienza lirica.
Il fanciullo letterario può essere il prodotto di un’analisi sociale, tipica dell’attenzione ottocentesca verso questo soggetto, oppure un personaggio di finzione, una figura mitica e/o simbolica, una proiezione che l’artista dà di sé. Queste ultime declinazioni sono tutte indagate negli autori indicati, non dimenticando però la prima accezione, perché le due tipologie, quella sociale e quella ideale, si possono confondere nella letteratura tra i due secoli e la loro compresenza può costituire un problema.
Come viene man mano chiarito nei diversi capitoli, una prima questione da dirimere è quella terminologica, tesa a definire l’ambito semantico dei differenti lemmi usati dagli autori per identificare il soggetto tematizzato.
Poiché ancora digiuni della tassonomia creata negli anni Trenta da Jean Piaget, d’Annunzio, Pascoli e i crepuscolari tendono non di rado a utilizzare sinonimicamente sostantivi come “infante”, “fanciullo”, “bambino”, “ragazzo” e “adolescente”, non distinguendo con precisione le fascie d’età proprie di queste definizioni e creando di conseguenza grossi problemi di “identificazione” delle figure trattate. Generativa di questa confusione è probabilmente l’ambiguità che già risiede nella lingua latina tra infans e puer: «[…] infans non indica il bambino che non ha ancora imparato a parlare, ma l’individuo ancora inetto all’eloquio completo; di conseguenza infans e puer iniziarono a specializzarsi prendendo a discrimine l’età scolare, e passarono a designare semplicemente i bambini che ancora non andavano a scuola e quelli che invece ci andavano».
Il fanciullo/a oggetto del volume è perciò quell’individuo che si pone tra il neonato/infante/lattante e il preadolescente, cioè tra i due/tre e i dodici/tredici anni d’età, e viene analizzato cercando di determinarne i dati psicologici e fisiologici, gli aspetti emblematici e simbolici, le implicazioni metaforiche.
L’Ottocento, si diceva, è il secolo dell’infanzia, anticipato in ciò da un XVIII secolo che, anche solo per la sua vocazione scientista e razionale, comincia a interessarsi a questi esseri misteriosi e irrazionali che sembrano essere i bambini. Nasce quindi un culto dell’infanzia inseparabile dall’ideologia borghese e che travalica la necessità di accudire “i piccoli” per salvaguardare la prosperità della propria classe, perché arriva a mitizzare questa categoria sociale come un’entità esemplificativa di una condizione di perfezione oramai lontana e perduta.
Soprattutto verso la fine del secolo, favorito dalla temperie decadente, il concetto di fanciullezza vedrà enfatizzata la propria dimensione archetipale e si consoliderà così la figura del poeta ut puer che, già postulata da Giambattista Vico («Il più sublime lavoro della poesia è alle cose insensate dare senso e passione, ed è propietà de’ fanciulli di prender cose inanimate tra mani e, trastullandosi, favellarvi come se fussero, quelle, persone vive. Questa degnità filologico-filosofica ne appruova che gli uomini del mondo fanciullo, per natura, furono sublimi poeti») e poi rafforzata, all’inizio del secolo, dalle riflessioni sulle «arti fanciulle» di Leopardi contenute nello Zibaldone, si amplificherà appunto in Pascoli e nei crepuscolari e avrà particolari declinazioni in d’Annunzio.
Il volume di Bani e Gouchan, inserendosi in un filone di ricerca letteraria già consolidato tanto in Italia quanto all’estero, ha l’ambizione di andare a coprire un territorio ancora non sufficientemente esplorato dalla critica, cercando di fare un bilancio di quanto già scritto e, al contempo, di dare un nuovo impulso a ulteriori ricerche.
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